Di Bruna Roccasalva
Foto di Nicola Gnesi

Il testo è una versione rivista dell’originale pubblicato in occasione di “Nairy Baghramian. Misfits” (GAM, Milano, 26 maggio-26 settembre 2021), progetto espositivo a cura di Bruna Roccasalva, organizzato da Fondazione Furla e GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano, con il contributo di Fondazione Henraux per la produzione delle opere in marmo. La mostra è parte del ciclo “Furla Series”, un programma promosso da Fondazione Furla e realizzato in collaborazione con le più importanti istituzioni d’arte italiane.


“What is sculpture? What is the burden of sculpture? What is the power of a sculpture occupying a site? Those are all problems that I’ve had with sculpture and that keeps me doing sculpture.
Nairy Baghramian, “Ambivalent Abstraction”, Ocula, 
August 28, 2020

Nairy Baghramian porta avanti da due decenni una rigorosa ricerca formale e concettuale che si interroga sulla definizione stessa di scultura, a partire da una pratica profondamente radicata nella tradizione scultorea. Esplorando la relazione tra architettura, oggetto e corpo umano, la sua produzione conferma l’importanza della fisicità dell’opera, capace di incarnare idee e presupposti teorici attraverso le specificità formali, materiali ed espositive che la contraddistinguono.

Il suo lavoro rappresenta uno dei contributi più importanti alle sperimentazioni contemporanee sul linguaggio della scultura e il progetto “Misfits” ne riassume alcuni degli elementi cardine, dall’interesse ad attraversare e ripensare il confine tra interno ed esterno, all’analisi del rapporto che lega l’oggetto estetico e la cornice istituzionale che lo ospita.
Per Baghramian ogni opera d’arte, pur nella sua sostanziale autonomia, è legata al tempo, al luogo e al tessuto politico-sociale in cui è inserita, e l’idea di “Misfits” nasce proprio dallo specifico contesto urbano in cui si trova il museo che ospita il progetto.
L’architettura neoclassica di Villa Reale, in cui ha sede la GAM, si affaccia su un bellissimo giardino all’inglese, uno dei primi esempi realizzati a Milano, che ha la particolarità di essere accessibile agli adulti solo se accompagnati da bambini. Le suggestioni contrastanti suscitate da un contesto che rimanda a un universo protetto e ludico come quello infantile, ma che al tempo stesso genera un senso di frustrazione per le restrizioni alla sua accessibilità, sono state il presupposto all’ideazione di “Misfits”. Ibridando l’idea di gioco come dispositivo educativo con una riflessione sull’esperienza della delusione e dell’inadeguatezza, Baghramian ha realizzato una serie di sculture di grandi dimensioni formalmente concepite per abitare sia lo spazio interno sia quello esterno al museo.

All’interno, la mostra si articola in cinque ambienti, ciascuno dei quali ospita un elemento scultoreo. Le opere abitano le sale in modo discreto, secondo una disposizione volutamente rarefatta esasperata dalla scelta dell’artista di creare un momento di “interruzione” nel percorso espositivo. La mostra prosegue infatti sulla terrazza adiacente alle sale, che il visitatore può osservare attraverso le finestre o dal giardino, ma solo nel rispetto delle norme che ne regolano l’accesso. Anche sulla terrazza gli elementi scultorei sono cinque, e sono posizionati in corrispondenza di quelli che occupano le sale all’interno del museo.
Ognuna delle opere in mostra è costituita di due metà, realizzate con materiali differenti – fusioni in alluminio dipinto e legno per gli elementi che si trovano all’interno, marmo per quelli in esterno – e installate come fossero parti disgiunte di un possibile intero. Da sempre interessata a esplorare la relazione tra interno ed esterno – l’istituzione e il contesto socioculturale in cui si colloca; l’opera e lo spazio che la ospita; l’idea e la forma che le dà corpo –, Baghramian interviene sugli spazi che segnano un confine per attraversarli e ripensarli. Questi interspazi sono per l’artista zone di riflessione in cui sollevare dubbi e porre domande: separare gli opposti, anziché cercare di farli combaciare, equivale a rimettere in discussione tutto quello che c’è tra questi due estremi, e dunque a scardinare idee fisse e regole precostituite. La parziale dislocazione di ogni scultura al di fuori delle sale del museo crea un’osmosi fra lo spazio dedicato all’arte e quello di un parco pubblico i cui principali fruitori sono bambini. Gli elementi scomposti di queste sculture sembrano evocare la struttura tipica di certi oggetti ludici basati sull’incastro di forme geometriche.
Fin dall’infanzia siamo educati ad assemblare elementi dagli incastri perfetti e a sviluppare così un modello di pensiero secondo il quale ogni cosa deve necessariamente combaciare con un’altra. Le sculture di Baghramian negano questa supposta coincidenza: le loro forme non si incastrano alla perfezione, offrono al contrario l’esperienza dell’errore come l’unica possibile, invitandoci a scoprire la bellezza proprio nel loro accostamento imperfetto. La scelta dei materiali, o il modo in cui sono trattati, concorrono alla restituzione di questa esperienza. Conoscere a fondo la natura dei materiali e testarne le potenzialità è un aspetto fondamentale della pratica scultorea di Baghramian. Questo approccio si traduce spesso nella sperimentazione di accostamenti inconsueti di materiali molto diversi tra loro all’interno della stessa opera, come avviene anche nelle sculture in mostra, che combinano fusioni in alluminio smaltato e legno con marmi di diversa natura e provenienza, come lo Statuario Altissimo e il Versilys Altissimo, estratti dalle cave di Henraux; il Rosa Norvegia, il Rosa California e il Costa Smeralda, appositamente importati. L’alluminio ricorre spesso nella produzione dell’artista, ma qui è del tutto nuovo il modo in cui sono trattate le superfici. Il rigore e la precisione di una finitura industriale, reminiscenza della tradizione Minimalista, lascia il posto a un’attitudine di matrice pittorica, che si concede l’imperfezione o la sbavatura del “fatto a mano”.
La produzione di “Misfits” ha coinciso per l’artista anche con l’opportunità unica di accostarsi per la prima volta a un materiale tradizionale come il marmo. Baghramian lavora sempre relazionandosi in modo stretto con il contesto in cui si trova e impiegare uno specifico materiale per lei non significa soltanto avere a che fare con le qualità fisiche che lo contraddistinguono, ma anche con la memoria, la storia, la politica che sono parte integrante del materiale stesso. Fare una mostra in Italia era dunque un’occasione perfetta per approcciare un materiale che appartiene al nostro patrimonio culturale.

Visitare le cave del Monte Altissimo, i cui marmi sono celebri in tutto il mondo, e venire a contatto con le maestranze del posto depositarie di una esperienza plurisecolare sul processo di estrazione e lavorazione di questo materiale, è stata per Baghramian un’esperienza unica e fonte di grande ispirazione e la scelta di utilizzarlo per un progetto come “Misfits” è stata tutt’altro che casuale. Impiegando un materiale nobile come il marmo, da sempre simbolo di compiutezza e perfezione, per dare forma scultorea all’imperfezione, Baghramian rimette in discussione ogni idea precostituita della bellezza e della forma, suggerendo che anche la scultura dovrebbe avere «la possibilità di non soddisfare le aspettative».

Le sculture di “Misfits” e le loro forme dagli incastri imperfetti non si fondano su canoni estetici precostituiti e generalizzati, contemplano la possibilità dell’errore, dell’inadeguatezza e dell’imperfezione e ne rivelano la bellezza, dimostrando come queste esperienze, che fanno parte della formazione di ogni individuo, possono avere anche un’autonoma ragion d’essere come manifestazioni formali.
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